Serie B: una Reggiana tosta batte il Modena e si regala derby e salvezza

Serie B: una Reggiana tosta batte il Modena e si regala derby e salvezza

I granata tornano a cogliere il successo al “Città del Tricolore” che mancava dal 26 dicembre. A decidere lo scontro con i canarini un rigore di Gondo a metà ripresa. Obiettivo stagionale centrato con due turni d’anticipo, ora si sognano i playoff

REGGIO EMILIA – Una partita che valeva una stagione il derby di oggi al Città del Tricolore tra Reggiana e Modena. Una salvezza matematica che, alla luce dei risultati delle partite delle 15, passava da questa gara nella quale, nonostante il meteo inclemente, il pubblico ha risposto come sempre presente con 13.500 presenze allo stadio.

Alla fine di una battaglia di muscoli e nervi, più che di tecnica, di sciabola più che di fioretto, i granata escono vittoriosi dal campo grazie al rigore trasformato da Gondo a metà ripresa. Un primo tempo partito con poche occasioni, solo qualche guizzo del Modena con i colpi di testa di Abusio, finiti fuori. La gara si accende con Battistella che, in un paio di riprese, innesca la miccia subito sventata da Rozzio e compagni.

Nella ripresa le due squadre provano a non farsi del male, infatti non si contano occasioni pericolose fino al 64′ quando un intervento maldestro di Oukhadda su Pieragnolo in area di rigore fa sì che l’arbitro decreti il penalty. Della battuta si occupa Gondo che trasforma con freddezza glaciale spiazzando Gagno e siglando la rete decisiva per la vittoria finale.

Al triplice fischio, la panchina granata esplode di gioia con Nesta che si getta sul rettangolo verde per abbracciare i suoi giocatori. Gioia immensa anche sugli spalti, con i tifosi granata – dodicesimo uomo in campo – che diventano protagonisti del dopo gara con cori e sfottò all’indirizzo dei cugini.

Domenica 5 maggio, alle 15, andrà in scena un vero e proprio spareggio per sognare addirittura i playoff in casa della Sampdoria, distante solo 3 punti e settima in classifica. Con l’obiettivo stagionale centrato, ora sognare non costa nulla.

Il tabellino

REGGIANA – MODENA 1 – 0

Marcatore: rigore Gondo (R) al 64′.

REGGIANA (3-4-2-1): Bardi; Libutti, Rozzio, Pajac (Szyminski al 75′); Fiamozzi, Bianco (Varela Djamanca al 87′), Kabashi (Cigarini al 85′), Pieragnolo; Portanova, Melegoni (Antiste al 75′); Gondo. A disposizione: Sposito, Satalino, Vido, Reinhart, Okwonkwo, Blanco, Pettinari, Vergara. Allenatore: Nesta.

MODENA (4-3-1-2): Gagno; Magnino, Zaro, Pergreffi, Cotali (Bozhanaj al 67′); Battistella (Oukhadda al 46′), Santoro, Corrado (Cauz al 46′); Palumbo; Abiuso (Manconi al 74′), Gliozzi (Strizzolo al 67′). A disposizione: Seculin, Vandelli, Tremolada, Riccio, Mondele, Di Stefano, Oliva. Allenatore: Bisoli.

Arbitro: Niccolò Baroni. Assistente I: Stefano Liberti. Assistente II: Marco Belsanti. IV Ufficiale: Francesco Burlando. Var: Francesco Meraviglia. Avar: Orlando Pagnotta.

Note: la Reggiana scende in campo con una divisa rievocativa della salvezza a San Siro di trent’anni fa.

Ammoniti Palumbo (M) al 25′, Battistella (M) al 36′, Pergreffi (M) al 45’+1′, Abiuso (M) al 72′.

Angoli 2-3 al primo tempo, 3-4 al secondo tempo. Recupero 1′ al primo tempo, 5′ al secondo tempo.

reggionline.com

Il lampo del divino

«Se uno si concentra abbastanza, se s’immerge abbastanza, arriva a vedere qualcosa che gli altri non hanno visto e quello che lui lì ha visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, è la cosa più importante che ha ricavato dai tanti anni in cui praticamente ogni santo giorno ha scritto. Vidme crede che il suo lavoro di scrittore lo abbia condotto nelle profondità più recondite di qualcosa che lui in momenti improvvisi, istanti felici di lucidità, è arrivato a considerare come un lampo di divino, […] un’esperienza che può anche sembrare ridicola, è ridicola, sia per Vidme sia per la maggioranza della gente, però in alcuni istanti di grazia, se solo potesse usare questa espressione, Vidme, uno scrittore fallito quanto basta, invecchiato presto, si è reso conto di essere stato in prossimità di ciò che con un’espressione che non si sarebbe mai immaginato di utilizzare non può chiamare altro che il divino». In questa descrizione di un personaggio, probabilmente, Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura 2023, mette molto di sé: la conversione al cattolicesimo, avvenuta da adulto, diventa questa scoperta di un divino, di un lampo, l’accondiscendere a una grazia che gli giunge nel mezzo del suo lavoro di scrittore, per il quale il New York Times lo ha paragonato a Ibsen e Beckett.

avvenire.it

Una grande Unahotels batte il Gevi Napoli per 88-74 e si classifica ai Playoff

Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia.

REGGIO EMILIA – Ultima partita in casa della regular season, che ha visto gli uomini di Priftis fronteggiare la Gevi Napoli di coach Milicic e degli ex dirigenti Alessandro Dalla Salda e Pedro Llompart, oggi direttore sportivo del club partenopeo. In questa partita la Unahotels deve fare a meno di Jamar Smith, al quale in seguito all’infortunio della scorsa settimana, è stata diagnosticata una sublussazione della spalla e ne avrà almeno per due settimane.

Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia.
Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia.(foto Pallacanestro Reggiana)

Si comincia con Weber, Galloway, Faye, Vitali e Chillo che vanno sul primo possesso che è reggiano. Weber guida l’attacco di casa verso il primo canestro segnato da Faye. In difesa arriva il primo fallo di Chillo, mentre il tiro di De Nicolao rimbalza sul ferro. E’ lo stesso De Nicolao a commettere un fallo su Faye che infila il canestro e trova anche il punto a cronometro fermo. La difesa di Vitali su Brown viene giudicata fallosa sul tiro da tre punti e sono proprio tre i liberi segnati dallo stesso Brown. Reggio fatica in attacco e tentenna in difesa, permettendo agli ospiti di pareggiare 5-5. Faye segna sotto canestro e va a prendere un rimbalzo difensivo che si tramuta in altri due punti per lui. Vitali si prende un tiro dai 6.75 che da respiro ai compagni in un momento complesso. Entrano Uglietti e Black e in difesa viene sanzionato un fallo a Vitali che protesta, ma per la terna non ci sono dubbi. Entra Grant ed è Lorenzo Uglietti in regia a mettere in ritmo i compagni che rischiano di regalare un canestro anche troppo facile agli avversari, ma Galloway va a sporcare la traiettoria di tiro e il recupero si trasforma in due liberi per Black che però fa 0/2. Sul 12 pari Napoli ha la palla in mano ma una gomitata in faccia a Uglietti ferma il gioco e Priftis chiede un instant replay per verificare il fallo, che però, per la terna, non c’è. Un primo quarto a ritmi altissimi ed è a 1 minuto dalla fine che arriva il sorpasso ospite per mano di Sokolowski: lo squarcio, però, è subito ricucito da Tarik Black che non ci sta e porta a casa un canestro e fallo, senza segnare a cronometro fermo. Reggio difende forte e trova una gran giocata di Sasha Grant di ritorno in attacco. Napoli cerca il canestro sulla sirena ma il ferro dice no. Si chiude 16-15.

Si riprende con una rimessa per Napoli che si fa rubare il possesso da Uglietti che nel recuperare palla subisce un fallo antisportivo. L’azione d’attacco reggiana è vanificata dal cronometro che arriva velocemente a 0. Si procede spediti ad un’intensità incredibile, mentre Weber recupera una palla vagante che Sasha Grant trasforma velocemente in due punti. Ennis segna una tripla per i suoi, mentre Reggio perde palla e regala nuovamente il sorpasso agli ospiti che non si fanno sfuggire l’occasione dalle mani. Segna Atkins e poi Faye: Napoli non cede terreno ma Atkins se,bra aver trovato la via del canestro, sono altri tre punti per lui. Rientra Uglietti e segna subito, circondato dai lunghi ospiti. Arriva il time out chiesto dalla panchina reggiana per riorganizzare l’attacco ed è Grant a segnare i due punti. Sempre Uglietti in regia e sempre Uglietti a canestro, con il punteggio che si sposta sul 36-32. Ci riprova Atkins e si inventa tre punti dall’angolo mentre Pullen segna per la squadra ospite. Ed ritornando in attacco che lo stesso Atkins trova altri due punti, ora Darion è davvero in partita. Dopo un time out, Sokolowski trova la tripla sulla sirena e si chiude 40-38.

Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia.
Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia.(foto Pallacanestro Reggiana)

Si riprende con una palla persa dalla formazione reggiana che subisce i due punti di Owens. Reggio è rimasta negli spogliatoi, passano tre minuti prima che la formazione reggiana riesca a raggiungere il canestro e lo fa per mano di Black. Galloway ruba un possesso che scotta e serve Weber per il canestro del 44-40. La difesa ospite non riesce a contenere l’energia di Black che va ad appoggiare ancora a canestro: Milicic chiede minuto sul 46-40. Su un fallo in attacco fischiato a Vitali si levano le proteste di Priftis dalla panchina, proteste che gli costano un fallo tecnico. Il libero di Brown viene respinto dal ferro, ma la difesa di Black viene giudicata fallosa e dalla lunetta Zubcic fa 1/2. La formazione reggiana torna in attacco e dopo un libero di Black arriva il rimbalzo offensivo che regala la tripla a Galloway. C’è confusione in attacco e dopo qualche fischio al limite il Palabigi si accende a sostegno dei biancorossi che ritrovano il canestro per mano di Grant. Arrivano in successione un canestro di Atkins e uno di Faye, nel tentativo disperato di mettere distanza, ma la formazione ospite non arretra di un centimetro. Reggio allunga e scappa via 63-53 mentre la sirena mette fine al terzo quarto di gioco.

Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia.
Unahotels- Gevi Napoli – 88-74-Reggio Emilia. (foto Pallacanestro Reggiana)

Si riprende con una rimessa di Napoli vanificata dalla difesa di casa che trova invece il canestro per mano di Faye. Arriva però il quarto fallo di Vitali che esce momentaneamente dal campo, mentre Uglietti va a prendersi un tiro dall’altro lato del campo. Segna ancora Atkins e arriva un altro time out chiesto da Napoli che le tenta tutte per rimanere attaccata a questo match infinito. Una stoppata di Faye disintegra l’attacco ospite, costretto ora a commettere fallo sullo stesso Momo per provare a contenerne l’energia straripante. Sono altri due punti per lui, mentre continuano a piovere fischi da parte della terna: è infatti su un tecnico a Brown che Galloway segna un libero. E’ Atkins ad andare in lunetta, dove stasera la Unahotels non è particolarmente fortunata ed è infatti ancora 1/2. Ci riprova Napoli, che trova due punti con Ennis. Galloway si inventa un appoggio a canestro importantissimo mentre la difesa ospite non accenna a mollare la presa nemmeno per un secondo. E arriva la tripla di Galloway, che letteralmente da casa sua, distrugge ogni speranza di Napoli. Ma Langston non si accontenta e ne segna altri tre e ipoteca i playoff per questa straordinaria formazione che centra l’obiettivo con una giornata di anticipo. Con grande cuore, la Unahotels chiude una partita quasi sempre in grande controllo, con qualche minuto in campo anche del giovanissimo Bonaretti ed entra ufficialmente nei playoff scudetto 2023/2024. Il punteggio è 88-74.

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“Festa dei lavoratori” a Reggio Emilia: il corteo nelle vie del centro e il concerto de “Lo Stato Sociale”

CGIL - Reggio Emilia

 

Festa dei Lavoratori, 1° maggio, Reggio Emilia
Festa dei Lavoratori, 1° maggio, Reggio Emilia

REGGIO EMILIA – “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”. È lo slogan scelto da Cgil, Cisl, Uil per celebrare il Primo Maggio, Festa dei lavoratori e delle lavoratrici.
Sarà il Friuli Venezia Giulia, terra di confine, ad ospitare quest’anno la manifestazione nazionale dedicata all’Europa che si svolgerà a Monfalcone. Dopo gli interventi dei delegati delle tre Organizzazioni, i segretari generali, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e PierPaolo Bombardieri, concluderanno i comizi. Come da tradizione nel pomeriggio si svolgerà a Roma il Concertone che, per la prima volta, non potrà svolgersi in piazza San Giovanni (per i lavori programmati per il Giubileo) e si trasferirà al Circo Massimo.

A Reggio Emilia le celebrazioni si svolgeranno iniziando con il tradizionale corteo cittadino che alle ore 15:00 prenderà il via partendo dalla Via Emilia, angolo Viale Montegrappa, per arrivare in Piazza Martiri del 7 Luglio dove sarà allestito il palco che ospiterà i comizi dei tre Segretari generali provinciali di CGIL CISL UIL con gli interventi di Cristian Sesena, Segretario generale CGIL Reggio EmiliaRoberto Rinaldi coordinatore UIL Modena e Reggio mentre la chiusura sarà affidata a Rosamaria Papaleo, Segretaria generale CISL Emilia Centrale.

Roberto Rinaldi, Rosamaria Papaleo, Cristian Sesena
da sin. Roberto Rinaldi, Rosamaria Papaleo, Cristian Sesena
stampareggiana.it

Sul palco dalle 17:00 spazio alla musica con il concerto de LO STATO SOCIALE, collettivo bolognese nato nel 2009 con all’attivo diversi dischi e hit di successo.

“Quest’anno guardiamo all’Europa alla vigilia di una tornata elettorale importante come quella che ci attende l’8 e 9 giugno prossimi. Sarà importante che dalle urne si affermi un modello di Unione Europa che guardi alla difesa e allo sviluppo di un articolato e vasto sistema di welfare che rimetta al centro la dignità del lavoro” dichiara Cristian Sesena, Segretario Generale della CGIL di Reggio Emilia.

“Nessuno ha più visione internazionale del movimento sindacale e, per questo, sappiamo bene – spiega Rosamaria Papaleo, Segretaria generale Cisl Emilia Centrale – che Europa significa condividere un destino comune nell’economia, nella difesa, nel sostegno alla crescita omogenea dei diritti e delle opportunità, che si realizzano con una unione fiscale e un grande patto continentale per il lavoro. Nessun’altra generazione dal secondo dopoguerra ha mai avuto questa opportunità e questa responsabilità”.

“Chiediamo alla politica di riconsegnare ai cittadini il sogno europeo, basato sulla centralità della persona, sulla coesione sociale e sulla pace. Il lavoro di qualità deve essere al centro dello sviluppo di tutto il Continente, pertanto ci dichiariamo sin da subito disponibili a lavorare ad uno statuto dei lavoratori europeo” dichiara infine Roberto Rinaldi, Coordinatore UIL di Reggio Emilia.

Mirka Cassinadri nuova direttrice del coro Vocilassù

Il 4 maggio rassegna a Vetto, con la giovane Mirka Cassinadri direttrice per il Coro Vocilassù

Mirka Cassinadri, diplomata in flauto traverso e insegnante di educazione musicale, è la nuova giovane direttrice del Coro Vocilassù di Toano. La presentazione ufficiale a Vetto, nella rassegna corale “In… cantate Armonie” la prima di una serie di esibizioni del gruppo toanese in diversi luoghi suggestivi della provincia di Reggio Emilia e Modena.

“Il mondo dei Cori nel nostro Appennino valorizza la musica tradizionale – spiega la musicista che succede ad Armando Saielli direttore del coro per 13 anni -. Essere la nuova direttrice del Coro Vocilassù è per me motivo di grande orgoglio. Raccontare il nostro Appennino con la musica e con l’unione di voci è cosa di grande valore”.

Il Coro Vocilassù si appresta a festeggiare i 30 anni di attività nel prossimo 2025 con un progetto che mira a fare conoscere la tradizione corale alle nuove generazioni.
Il primo appuntamento della rassegna, sarà a Vetto, nella chiesa San Lorenzo, il 4 maggio 2024 alle ore 20.45 con ingresso a offerta libera, organizzato in collaborazione con l’Unità Pastorale Vettese, la Pro Loco di Vetto col sostegno dell’Amministrazione comunale.

Proprio in quell’occasione verrà presentata al pubblico di affezionati, e appassionati del canto corale, la nuova direttrice e con lei, alla codirezione, Gaetano Borgonovi. Nella rassegna vettese si alterneranno sul palco, oltre al Coro Vocilassù, il Coro Out of Time (Milano) diretto da Simone Hopes, con un repertorio vario tra musica sacra, tradizionale dal mondo, gospel e spiritual, e il Coro Cai Valmalenco (Sondrio), diretto da Carlo Pegorari, protagonista della storia corale valtellinese con brani tradizionali alpini e non solo.

“Il Coro Vocilassù deve la sua storia a un repertorio sicuramente vario di grandi autori – afferma Tiziano Albergucci, presidente della realtà toanese nata a gennaio del 1995 -, come Bepi De Marzi, che ha dato il nome al nostro gruppo, il maestro Marco Maiero, o gli autori della Sat. Abbiamo in repertorio anche diversi canti armonizzati dal maestro Saielli con testi originali di Ubaldo Montruccoli e Remo Secchi. Tra questi, il brano ‘L’Ultimo Pastore’ è diventato patrimonio di tante realtà corali italiane e non solo e questo è per noi motivo di grande orgoglio. Un canto inserito anche in un libro antologico di Montruccoli che sarà presentato all’Abbazia di Marola il prossimo 29 giugno”.

IL CORO VOCILASSU

Il Vocilassù, coro maschile a quattro voci pari, vanta una storia ricca di esibizioni e curiosità sin dalla sua nascita, nel 1995. Molti sono gli eventi a cui il gruppo ha partecipato in questi quasi 30 anni di attività, concorsi, scambi nazionali e internazionali, rassegne. Protagonista anche di due CD nel 2002 (Vocilassù) e nel 2015 (Canto alla Vita), dopo sette anni il Coro tornerà ad esibirsi al “Val Pusteria International Choir Festival” con oltre duecento cori dall’Italia e dal mondo. Prossimi appuntamenti della rassegna “Incantate… armonie” con alcune tra le più prestigiose realtà corali italiane e il Coro Vocilassù a Marola (Carpineti) il 20 luglio e Montefiorino il 21 settembre 2024, quindi il Festival dell’Appennino Reggiano il 7 luglio a Toano.

laliberta.info

“Storia di Mi. Lorenzino don Milani”, il libro di Alberto Melloni

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Giovedì 2 maggio alle ore 21 presso la Sala dell’Antico Portico a Guastalla, Alberto Melloni presenta il suo ultimo libro Storia di Mi. Lorenzino don Milani (Marietti1820, 2023) in dialogo con Gino Ruozzi. Chi era don Milani? La quantità e varietà di nomi con cui è stato chiamato il priore di Barbiana nell’arco di una vita lunga 44 anni sono la cifra della sua ricchezza. Se raccoglierli tutti può apparire un’impresa impossibile, allora si può provare a chiamarlo semplicemente “Mi”. Nel centenario della sua nascita, la pubblicazione di Storia di Mi. Lorenzino don Milani rende omaggio a questa figura straordinaria.

Alberto Melloni è professore ordinario di Storia del cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia, segretario della Fondazione per le scienze religiose, e dal 2017 membro dell’Accademia dei Lincei.
Il libro di Melloni intende far luce sull’ esperienza umana e cristiana che ha vissuto don Milani, togliendogli di dosso quel marchio che lo ha trasformato in una icona buona per tutte le battaglie.

Don Milani è un prete che ha nella Parola di Dio letta e annunciata con passione il senso profondo della propria esperienza, ma è anche un profeta che soffre la condanna e le crudeltà che gli riserva la Chiesa in piena obbedienza al suo superiore. È la sua battaglia evangelica per i poveri che lo porta a fare il maestro, una professione per la quale non era preparato, per dare ad essi una dignità ed un futuro che la scuola dei suoi tempi non era in grado di dare.

Dice don Milani “I poveri non hanno bisogno dei signori. I signori ai poveri possono dare una cosa sola: la lingua, cioè il mezzo d’espressione. Lo sanno da sé i poveri cosa dovranno scrivere quando sapranno scrivere”.
È questa libertà dal potere che li tiene sottomessi che don Milani, con la sua pedagogia della Parola, vuole dare ai poveri.

laliberta.info

Cattolici e cultura. Cosentino: «Essere Chiesa significa avere un’idea di futuro»

«È necessario abbandonare ogni forma nostalgica, puntare sulla formazione, prendere coscienza dei tempi nuovi e superare la logica postmoderna del provvisorio»
Il teologo Francesco Cosentino

Il teologo Francesco Cosentino – archivio

avvenire.it

Le domande tengono la mente inquieta mentre le risposte rischiano di farci addormentare, specialmente quando sono concepite per anestetizzare la fatica del pensare dinanzi alla complessità delle sfide odierne. Ben venga, allora, il dibattito che, a partire dalle riflessioni offerte da Pierangelo Sequeri, sta prendendo corpo in queste settimana. All’irrilevanza cristiana, intesa non tanto in senso sociologico ma come incapacità dei simboli e delle parole cristiane di toccare l’immaginario, di trafiggere il cuore e di segnare la vita dei nostri destinatari, ho voluto di recente dedicare un testo di teologia edito da San Paolo, ritenendo che la domanda già posta da Karl Rahner alcuni decenni or sono, dovrebbe essere messa al centro della riflessione teologica e dell’agire pastorale: come è possibile fare oggi una esperienza del Dio di Gesù Cristo in una società che lo ha messo ai margini? Si tratta di un interrogativo che, però, il cristianesimo deve iniziare a rivolgere a se stesso.

A poco serve, infatti, continuare ad attardarsi su analisi riguardanti il cambiamento d’epoca, la fine della cristianità, il tramonto del cristianesimo sociologico e l’avanzata del secolarismo, se non attiviamo il coraggio di un passo ulteriore che può essere così declinato: se la cultura occidentale non è più ospitale nei confronti dell’annuncio cristiano, è altrettanto vero che il cristianesimo ha smesso da tempo di essere “culturale”, di saper non soltanto ascoltare ma anche interpretare le sfide del contesto, in un dialogo scevro da manie di superiorità morale e da elementi di clericalismo. Il cristianesimo sembra essere segnato da una sorta di “cultura del declino”. Di recente, a parlarne è stato il presidente della Cei, il cardinale Zuppi, che ha affermato: «Non si può gestire il presente con una cultura del declino, quasi si trattasse solo di mettere insieme forze diminuite, di ridurre spazi e impegno o di agoniche chiamate al combattimento».

La cultura del declino, che ci impedisce di avere linguaggi, proposte e postura per abitare la cultura odierna, si manifesta in molti modi e, accennarne alcuni, significa anche individuare quelli che possono diventare luoghi della ripartenza, se ci dedichiamo a essi con una appassionata riflessione teologica e pastorale. Anzitutto, è da segnalare il rischio di una assuefazione vittimistica alla questione numerica, che genera spesso una reazione frettolosa, mancante di una lungimirante visione ecclesiale e pastorale: così, si uniscono le poche forze rimaste o ci si trincera dietro un atteggiamento difensivo, limitandosi a conservare l’esistente. Forse ci serve invece il coraggio di prendere sul serio la sproporzione esistente tra il modo in cui ancora oggi pensiamo e viviamo la parrocchia e il numero sempre più ridotto di preti e operatori pastorali, in un contesto divenuto mobile, plurale, e multiculturale.

Si tratta di una situazione che non lascia spazio ed energie per pensare una “pastorale della soglia”, centrata su un annuncio del Vangelo che possa intercettare i lontani e dialogare con le domande del nostro tempo e con le sfide culturali, magari anche stimolando al dibattito coloro che sono in vario modo impegnati negli spazi pubblici della città, della politica, della società civile. La questione implica, naturalmente, una riflessione sul ministero ordinato, una nuova lettura dell’istituzione parrocchiale, qualche serio interrogativo sull’attuale configurazione giuridica e sul Diritto canonico, così da immaginare una nuova forma e presenza di Chiesa in dialogo col territorio. Nondimeno, si ha l’impressione che anche riguardo alla proposta, il cristianesimo proceda spesso con linguaggi, formule e prassi che non tengono in conto quanto sia cambiato l’immaginario interiore e concettuale dei nostri contemporanei negli ultimi decenni. Si può continuare a parlare di salvezza, di felicità, di vita umana, di morte e di risurrezione, ma correndo il rischio di non comunicare più nulla se non si tiene conto dei cambiamenti antropologici, della diversità e pluralità di significati che ciascuno conferisce alla propria esperienza di vita, della ricerca postmoderna di un benessere psico-fisico e spirituale sganciato dalla relazione con Dio, della “fede” nell’intelligenza artificiale.

Le parole dell’evento cristiano, si pensi, per esempio, alla professione di fede nell’ormai vicino anniversario di Nicea, non andrebbero nuovamente tradotte e offerte attraverso una nuova mediazione linguistico-concettuale? Infine, rispetto alle sfide della cultura e a quelle pastorali, l’impressione è che anche il cristianesimo proceda nel solco postmoderno della logica del provvisorio: manca una visione e un pensare a lungo termine, si va avanti per singhiozzi e frammenti. In questo senso, la cultura del declino si esprime nel ripiegamento in forme di religiosità intimiste e, ancor più spesso, in forme devozionistiche che dispensano dalla fatica di pensare e dall’onere di scelte innovative e coraggiose. Sequeri ne ha parlato come «ripiegamento nella pura devozione di gesti e immagini vagamente connesse al mistero cristiano », mentre Righetto ha fatto giustamente riferimento alle “paccottiglie” spirituali che si trovano nelle librerie religiose, generando una sorta di “sottocultura” cattolica. Di certo, c’è un investimento che manca e, se parliamo di rapporto dialogico con la cultura, l’investimento principale dovrebbe essere quello della formazione. Mentre il secolarismo ha ormai trasformato l’immaginario interiore della vita delle persone, cambiando i simboli attraverso cui interpretano la vita e abitano il mondo, la cura per la formazione e per la preparazione culturale, biblica e teologica di laici e preti non è ancora assunta come un impegno imprescindibile delle agende pastorali.

Qualche giorno fa, sul tema, è tornato il teologo Giuseppe Lorizio, affermando che il credente non può ignorare, e anzi deve interpretare e affrontare una cultura come la nostra che si mostra nella veste di un “politeismo” dei saperi e dei valori, in una compagine quanto mai variegata e plurale di visioni. E invece, si ritiene che sia più urgente far fronte ai bisogni di oggi che investire per il domani. E sulla formazione culturale, continua a pesare l’antico e sempre nuovo pregiudizio, secondo cui studiare e approfondire non serve, perché basta stare vicini alla gente, dir Messa e presiedere qualche atto di devozione. Il rischio dell’autoemarginazione del cristianesimo diventa più che concreto, che si tratti di rifugiarsi nostalgicamente nell’idealismo dei bei tempi passati o di chiudersi in forme di cristianesimo moralista e devozionale. Qualcosa può cambiare se e quando avremo il coraggio di rimettere mano – senza timori e senza ideologiche contrapposizioni – a una nuova visione ecclesiale. Ma ciò non avviene continuando a scommettere su una generale visione pastorale, senza la fatica di pensare – e di pensare teologicamente – il futuro del cristianesimo.

Materie prime. Il prezzo del caffè sale e l’espresso al bar può arrivare a 2 euro

In sei mesi le quotazioni della varietà Robusta sono raddoppiate. Per quella Arabica +55%. Pesano la contrazione dell’offerta del Vietnam, le condizioni meteo in Brasile e il rafforzamento del dollaro
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Non solo il cacao. I rincari delle materie prime toccano ora il re per eccellenza dei bar italiani: il caffè. Una tendenza al rialzo che ha portato ormai il prezzo medio della tazzina al bar ad 1,20 euro, secondo gli ultimi dati del Mimit rielaborati da Assoutenti. E se è vero che non mancano città e caffetterie in cui si tocca ormai anche quota 1,40 euro, sotto l’euro a tazzina restano ormai poche realtà. Come Catanzaro, dove un caffè costa ancora poco meno di 1 euro, 0,99 centesimi per l’esattezza. Ma è l’eccezione, non la regola.

Quella che gli addetti del settore definiscono ormai come la “tempesta perfetta” è già realtà. Da un lato le avverse condizioni meteo in grandi Paesi produttori, come il Brasile, dall’altro il cambio euro-dollaro, l’aumento dei costi di trasporto e quelli della materia prima: i rincari, secondo i torrefattori, sono soltanto all’inizio e non è detto che la strada verso i 2 euro a tazzina di caffè sia poi così lontana. Secondo Altoga, l’associazione nazionale torrefattori, importatori di caffè e grossisti alimentari aderente a Federgrossisti-Confcommercio, negli ultimi 6 mesi le quotazioni di borsa del caffè Robusta sono praticamente raddoppiate: hanno registrato un rialzo di oltre il 90% (da 2.200 a 4.195 dollari la tonnellata), e quelle della varietà Arabica del 55%. Ma perché questa impennata? Ad incidere una forte contrazione dell’offerta da parte del Vietnam, le avverse condizioni metereologiche in Brasile, lo sfavorevole tasso di cambio per il rafforzamento del dollaro sull’euro, che ha inciso sul costo del caffè fino a un +4% negli ultimi mesi, ed infine la necessità di evitare il passaggio nel Mar Rosso a causa dei raid dei miliziani Houthi, con conseguente aumento di tempi e costi di percorrenza. Fattori che, complessivamente, incidono sui costi di importazione del caffè fino al 50% in più rispetto a 6 mesi fa.

Oggi il prezzo medio registrato ufficialmente dal ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) di una tazzina consumata al bar si attesta a 1,18 euro nelle principali città italiane. Solo 3 anni fa, nel 2021, il costo medio dell’espresso era di 1,03 euro: questo significa che gli italiani hanno già subito un aumento del 14,9%. Tra le principali città, Bolzano è quella che detiene il primato del caro-caffè al bar, con un prezzo medio di 1,38 euro a tazzina, seguita da Trento (1,31 euro). Tra le più economiche, oltre a Catanzaro, c’è Napoli (1,05 euro). Se però si confrontano i listini odierni con quelli in vigore nel 2021, sottolinea Assoutenti, si scopre che la provicia che ha subito i rincari maggiori è Pescara, con il prezzo medio che sale da 1 euro a 1,28 euro e un aumento del +28%, seguita da Bari col +24,4%. «Temiamo che i rialzi delle quotazioni del caffè possano portare nelle prossime settimane a incrementi dei prezzi sia per le consumazioni al bar (caffè, cappuccino, ecc.) sia per il caffè in polvere venduto nei supermercati – spiega il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso -. Anche pochi centesimi di aumento determinerebbero una stangata sulle tasche dei consumatori, considerato che in Italia vengono serviti nei locali pubblici circa 6 miliardi di caffè all’anno per un giro d’affari dell’espresso pari a circa 7 miliardi di euro annui».

Gli esercenti, però, provano ad allontanare lo spettro dei rincari. «I costi di acquisto della materia prima caffè sono aumentati, e non solo quelli, ma la maggior parte degli imprenditori li sta assorbendo senza scaricarli sui clienti», è la posizione di Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet Confesercenti. «In sostanza – almeno secondo Banchieri – il caro-tazzina ancora non c’è: e se è vero che nei centri storici delle località turistiche un espresso al banco può arrivare a costare in alcuni casi 1,5 euro, nella maggior parte dei bar si trova ancora tra 1 e 1,2 euro, lo stesso prezzo del 2020. E questo nonostante i costi per gli esercenti siano aumentati in questi quattro anni anche del 20%, tra materia prima, lavoro ed energia». Secondo gli esercenti, insomma, non ci dovrebbe essere spazio per gli allarmismi, anche se il rischio di incrementi del prezzo di vendita «diventerebbe concreto», sottolineano, «se sulla scia delle tensioni internazionali i costi della materia prima dovessero aumentare ancora».

Per Ben Laidler, global markets strategist di eToro, quello del caffè «è solo l’ultimo caso di impennata nei prezzi di prodotti agricoli determinata dalle dinamiche di offerta, dopo quella relativa al succo d’arancia nel 2023 e al cacao nei primi mesi di quest’anno. L’agricoltura è diventata così il comparto delle commodity che ha registrato le migliori performance nel 2024, con un aumento del 27%, rispetto al modesto 4% delle materie prime in generale». Quello che per gli analisti (e per gli azionisti) è “performance”, però, per il consumatore si traduce in un nuovo “rincaro”. Ed è difficile che le due visioni possano mai trovarsi d’accordo. Nemmeno davanti a una tazzina di caffè.